Pasta alla Caruso: Storia di un Classico Italo-Uruguaiano

Che l'Argentina e l'Uruguay abbiano forti radici italiane non è una novità. E non sorprende che queste radici siano presenti anche nella cucina locale. Nella regione del Río de la Plata, la carne è la regina incontrastata, ma la popolarità della "milanese", della pizza e della pasta, con creazioni e variazioni locali, testimoniano la verità di questa affermazione. Parliamo di questa peculiare “cucina fusion” con David Veltri, chef italo-argentino che preferisce definirsi "cuoco" o "cocinero", non tanto per falsa modestia, ma perché lo considera un termine più appropriato per la nostra lingua e la nostra cultura.

L'Onda Migratoria Italiana e le Sue Influenze

Gli italiani cominciarono ad arrivare in massa nel dopoguerra. In precedenza, argentini e uruguaiani mangiavano "alla spagnola", con influenze indigene. Alla carne (i bovini furono introdotti dai colonizzatori), si aggiungevano "preparazioni di origine autoctona a base di cereali e tuberi, come mais e manioca". E, in misura minore, “selvaggina: armadillo, pernice, cervo locale, ñandú (tipo di struzzo sudamericano) e pesci di fiume come pesce gatto, pacú e surubí”. "Fino alla metà del diciannovesimo secolo", spiega Veltri, "le uniche eccezioni erano probabilmente i piatti di origine centroeuropea sulle tavole delle famiglie originarie di quei paesi". Le grandi ondate migratorie arrivarono precisamente dopo. E i maggiori contingenti partirono dai porti italiani. Per avere un'idea, il primo censimento argentino (settembre 1869) rilevò che su 1.737.000 abitanti, 211.000 erano stranieri. In Uruguay la situazione era simile. Nell'anno 1900, il 20% della popolazione di Montevideo era italiana (e il 14% di tutti gli abitanti del paese).

La nuova situazione influenzò presto le abitudini degli argentini e degli uruguaiani. Cucina inclusa. Prima di partire, i contadini italiani dovettero adattare i loro piatti tradizionali alla povertà che li affliggeva. Un'altra specialità italiana (e genovese) è la fainà, conosciuta in Italia anche come farinata. Una "torta-focaccia" a base di farina di ceci. A quel tempo, i piatti del Sud sbarcarono anche sulle tavole del Rio de la Plata. Lo specialista giornalista Ángel Ruocco, uruguaiano, sottolinea che il modo in cui alcuni piatti sono conosciuti in Uruguay deriva dai dialetti meridionali, come gli spaghetti "A la pomarola" (pummarola) o los macaroni (da maccarune). Dal Piemonte, invece, arrivarono los "Tallarines" (tajarin in dialetto piemontese). Ma sul Rio de la Plata si mangiano con un generoso sugo con grossi pezzi di carne o pollo. E a proposito di sugo… il famosissimo tuco (una specie di ragù) deriva dal tucco genovese.

L'Importanza della Nonna nella Cucina Italo-Argentina

"La nonna appare come la persona degna del massimo rispetto nelle famiglie degli immigrati italiani", aggiunge David Veltri. La nonna è "una sintesi di amore, saggezza ed esperienza". Spesso assumeva "il ruolo di presentatrice silenziosa, occupando il posto di cuoca per eccellenza". Non c'è argentino o uruguaiano che non conosca, almeno per sentito dire se non per esperienza, i grandi pranzi domenicali a casa dei "nonos" (spagnolizzazione di "nonni", che in spagnolo sarebbe "los abuelos"). In quell'epoca ormai remota cominciò a perdersi la vendita di pranzi economici da asporto, preparati dagli immigrati per gli immigrati, per i lavoratori che non avevano tempo di tornare a casa a mezzogiorno. Tra i piatti offerti ci sono anche la zuppa lombarda e il minestrone, oltre a pasta e insalate… Lo chef David Veltri è presidente dell'Associazione Cuochi Italiani in America Latina (ACIL).

Piatti "Italiani" Creati in Sud America

Sia l'Uruguay che l'Argentina hanno creato piatti che sono ormai entrati a far parte della gastronomia locale a pieno titolo, che molti uruguaiani e argentini credono siano italiani. E che, d'altra parte, non sono mai esistiti in Italia. Ad esempio, la "Milanesa napolitana", i "sorrentinos" e la salsa "alla Caruso". I primi sono nati come stratagemma per recuperare le "cotolette" bruciate (qui sono fatte senza osso), aggiungendo salsa di pomodoro e mozzarella a fette. I secondi sono un omaggio di un ristoratore di Mar del Plata a Sorrento, dove è nato suo padre. Quanto alla “Caruso”, creata a Montevideo nel 1954 in onore del grande tenore Enrico, da un cuoco piemontese di nome Raimondo Monti.

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La polenta (curiosamente italiana anche se fatta con mais, un alimento sudamericano), è conosciuta anche qui a causa degli immigrati. Ma si consuma molto meno. Certamente, a parte il Team Building (si trova, a pezzetti, in quasi tutte le feste di compleanno insieme alle "empanadas" locali), è stata la "milanese" a diventare popolare in Argentina e Uruguay. Al punto che ci sono ristoranti specializzati!

Altre Influenze Italiane: Salumi, Dolci e Bevande

Passiamo alle note a piè di pagina, ai salumi… le cui ricette sono anch'esse "scese dalle navi", o sbarcate in virtù degli immigrati spagnoli e italiani. Ci sono anche dolci e bevande. Il panettone ricorda molto il Panettone, e il tiramisù è un altro illustre esponente del Bel Paese che riceve i favori dei golosi. Tra le bevande, l'ampio successo del vino è dovuto alla cultura spagnola e italiana. La grappa è conosciuta anche da queste parti, tanto che in Uruguay qualcuno ha inventato la grapamiel: grappa con miele. Poi c'è il Limoncello, affermatosi negli ultimi anni come "ammazzacaffè" o da solo. Anche la birra, certamente più tipica dei paesi germanici, in Argentina è popolarmente chiamata birra. L'ultima bevanda a conquistare i palati locali e ad entrare prepotentemente nella cultura è stata il caffè (anche se il tango Cafetin di Buenos Aires è del 1948).

La Salsa Caruso: Un Omaggio al Tenore

La salsa Caruso, un'icona della cucina uruguaiana, è un chiaro esempio di come le tradizioni culinarie italiane si siano fuse con gli ingredienti e i gusti locali per creare qualcosa di unico. Creata nel 1954 a Montevideo, questa salsa cremosa e ricca è un omaggio al celebre tenore Enrico Caruso. La sua invenzione è attribuita a Raimondo Monti, un cuoco piemontese che lavorava al ristorante Mario e Alberto. La ricetta originale prevede panna, prosciutto, formaggio, funghi e salsa di pomodoro, un mix di sapori che riflette l'influenza italiana e la ricchezza degli ingredienti disponibili in Uruguay.

La salsa Caruso è tradizionalmente servita con i cappelletti, una pasta ripiena simile ai tortellini. La combinazione di pasta fresca e salsa cremosa crea un piatto confortante e delizioso che è diventato un classico della cucina uruguaiana. La sua popolarità si è diffusa anche in Argentina, dove è apprezzata tanto quanto nel suo paese d'origine.

Celebrare l'Eredità degli Immigrati

Celebriamo quindi l'eredità degli immigrati, ponti tra culture. Indubbiamente, lo furono anche grazie all'accoglienza che trovarono nei loro paesi adottivi, che permise loro di mantenere le proprie tradizioni e perpetuarle, coinvolgendo anche gli abitanti del luogo.

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Riflessioni sulla Tradizione Culinaria Italiana

La storia della pasta alla Caruso e delle altre creazioni italo-sudamericane ci invita a riflettere sulla natura dinamica e in continua evoluzione della tradizione culinaria. Le ricette non sono entità statiche, ma si trasformano e si adattano ai contesti locali, arricchendosi di nuovi sapori e ingredienti. La cucina italiana, con la sua capacità di integrarsi e fondersi con altre culture, è un esempio emblematico di questa dinamicità.

I Processi di Lavorazione del Grano

A partire dalla rivoluzione industriale, è aumentata in misura significativa la varietà degli alimenti a base di grano. I processi di lavorazione tendono a essere sempre più invasivi e tuttavia non paiono adattarsi perfettamente all’organismo umano e ai suoi processi fisiologici, poiché il nostro organismo non è sempre in grado di riconoscere i prodotti che ne derivano. A questi cambiamenti sono stati perciò attribuiti disturbi legati alla digestione di alcuni alimenti a base di grano. Oltre alla raffinazione, tra i processi industriali applicati al grano si citano le intensità di impasto più elevate per la cottura del pane e l’uso di lievito chimico al posto della lievitazione naturale. Nonché il maggiore utilizzo della cottura a estrusione e ad alta temperatura, che può tra l’altro causare la formazione di acrilammide.

La molitura è il primo processo di trasformazione a cui viene sottoposto il grano. Viene realizzata in prevalenza all’interno di mulini a cilindri che - in caso di produzione di farine raffinate (tipo 0 e 00) - fresano le cariossidi al punto da privarle quasi totalmente del contenuto in fibre e vitamine, le quali risiedono nel germe di grano e vengono così asportate. Le farine integrali e semi-integrali (tipo 1 e 2), come si è visto, stanno riscuotendo un crescente successo, in Italia soprattutto. Proprio perché è accresciuta l’attenzione dei consumAttori verso i benefici dei cereali integrali per la salute. I lieviti chimici sono spesso utilizzati, nei processi industriali, al posto di quelli naturali (spesso designati in elenco ingredienti con la dicitura ‘lievito madre’, la quale soggiace ai requisiti di etichettatura previsti per gli ingredienti composti). La lievitazione naturale, d’altra parte, aumenta la digeribilità delle proteine del grano, tra cui il glutine (4) e altre proteine con potenziali effetti infiammatori, come gli inibitori della tripsina amilasi (ATI). (5). Il glutine vitale o ‘esogeno’ può inoltre venire aggiunto ad alcuni prodotti da forno, per conferire loro particolari proprietà tecnologiche. Come emulsificazione, coesione, viscoelasticità, gelificazione e formazione di schiuma. Il suo impiego è aumentato a dismisura, nelle ultime decadi. Al punto da stimarsi che l’assunzione di glutine ‘esogeno’ negli Stati Uniti sia triplicata tra il 1977 e il 2012, da 140 a oltre 400 g/persona/anno. La temperatura più elevata utilizzata per i processi industriali, quali la cottura del pane o l’essiccazione della pasta, riduce a sua volta la digeribilità delle proteine del grano. (4) Le differenze più evidenti, nelle pratiche di trasformazione di grani antichi e moderni, riguardano i processi industriali invasivi a cui questi ultimi vengono spesso sottoposti. Le cultivar antiche, viceversa, tendono a venire lavorate utilizzando metodi più tradizionali e meno invasivi. Con la macinazione a pietra e l’impiego - per la preparazione del pane - di lieviti tradizionali (S. Cerevisiae). Ovvero della pasta madre, ricca di lactobacilli e capace di degradare efficacemente uno dei componenti infiammatori del proteoma del grano, le proteine ATI. La cottura di impasti soggetti a lievitazione naturale sembra ridurre le quantità di ATI e di FODMAPs (Fermentable Oligo-, Di-, Mono-saccharides And Polyols,). Nonché i carboidrati a catena corta, i quali sono presenti nel grano e a causa dello scarso assorbimento contribuiscono al gonfiore intestinale. (6) D’altra parte, i cereali moderni sono spesso raffinati e utilizzati per la produzione di alimenti trasformati o ultraprocessati, con aggiunta di additivi e glutine esogeno, che possono anche peggiorarne drasticamente i profili nutrizionali.

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